La settimana scorsa, siamo volati fino a Marrakech per assistere allo spettacolare arrivo della undicesima edizione del PandaRaid e per intervistare Michele Minetto e Davide Baiardi del Team PandaRaid 328, che abbiamo orgogliosamente rappresentato in qualità di sponsor e che abbiamo seguito attraverso i nostri canali Social fin dalla loro partenza da Genova, il 4 Marzo 2019.
Come siete venuti a conoscenza della gara?
D.B Da un amico. Lo zio della sua fidanzata aveva fatto la gara l’anno scorso e lo ha rifatto anche quest’anno. Così ci siamo detti che sarebbe stato bello provarlo anche noi.
Da dove nasce l’idea della gara? Chi la organizza, da quanto e se promuovono altre competizioni di questo genere.
M.M: E’ una organizzazione spagnola che da ormai undici anni promuove questa gara attraverso il Marocco, estremamente rodata e ben organizzata. Permette a più di 400 equipaggi, quindi 800 persone, di vivere questa avventura in completa sicurezza…
D.B … Sono molto rodati, allo sbarco c’erano 400 auto e siamo stati scortati dal porto fino al campo ad ogni incrocio dalle forze dell’ordine. Una mobilitazione notevole.
Quanto è stata difficile la preparazione della gara? Ricerca della macchina, sponsor fino al dover arrivare fisicamente in Marocco?
D.B: Diciamo che eravamo divisi in due ruoli: io mi sono occupato della parte tecnica mentre Michele della parte relativa alle relazioni pubbliche e ricerca degli sponsor e promozione. Difficile non è la parola giusta, perché di difficile non abbiamo fatto nulla, ma il tempo che ci abbiamo dedicato non è stato tantissimo. Se riesci a vederti il fine settimana o comunque una sera alla settimana e magari non hai tutto il materiale a disposizione… Le cose vanno un pochino per le lunghe anche per le cose più semplici. E’ stato facile, perché non abbiamo fatto nulla di complesso, ma allo stesso tempo molto “tirati” perché non avevamo molto tempo a disposizione.
M.M: Per quanto riguarda gli sponsor, eravamo completamente nuovi a questo tipo di esperienza, senza un background da poter portare. Bisognava trovare sponsor che, piuttosto che dare contributi in denaro, dessero un altra tipologia di contributi. Picasso Gomme, per esempio, è stato contattato e ci ha fornito le gomme di scorta per la gara.
D.B: Che poi gli ridaremo di altre forme! – ride.
M.M: Se le terranno da parte come souvenir. GNV per quanto riguarda il viaggio, l’Arte del Ferro per quanto riguarda le protezioni. L’obiettivo è stato trovare qualcuno che facesse come mestiere quello di cui avevamo bisogno. Questo ci è tornato utile perché comunque siamo riusciti a tirasse su un a buona quantità di sponsor che ci hanno permesso di concretizzare il viaggio e ridurre di un po’ le spese che, comunque, sono tante per una impresa del genere.
Quali sono state le tappe della gara?
M.M: I ritrovi per la partenza erano due: Madrid per la partenza ufficiale e Motril per l’imbarco e il trasferimento di tutte le auto alla partenza che è avvenuta a Nador. Successivamente, poco fuori Nador, era stato predisposto un campo base sul Lago Mohamed V. Successivamente siamo arrivati a Bel Frissate, a 323 km. Una tappa lunga, erano previste 8/9 ore di gara, ma abbastanza facile. Permetteva a tutti gli equipaggi, anche chi non aveva mai provato una esperienza del genere, di avere un primo approccio alla gara in se’.
D.B: Non c’erano grossi ostacoli, zone sabbiose dove ti impantani o trial dove rischi di “spaccare”. Erano terreni fuori strada di montagna abbastanza fattibili.
M.M: Gli organizzatori hanno pensato ogni tappa come una serie di livelli in cui c’era sempre una serie di difficoltà in più che sfociavano nella quinta e ultima tappa più difficile.
Dopo Bel Frissate siamo arrivati a Maadid, a 371 km. La tappa più lunga come tempo e nella quale iniziano a esserci i primi test, le prime parti un po’ più difficili per via della sabbia che ha messo alla prova gli equipaggi (soprattutto per i 4×2) in quanto se ti impantanavi bisogna scendere, scavare, tirare fuori la macchina….
D.B: Ma c’è molto supporto tra i team. Quando ci siamo impantanati noi o succedeva agli altri, ci si aiutava a scavare e tirare fuori la macchina. Anche 3/4 auto che si fermavano, attaccavi la cinghia davanti e a braccia 5/6 persone ti tiravano fuori.
Vi chiedo: qual è il pubblico della gara? Sono giovani, coppie, di tutte le eta’?
D.B: Il pubblico spazia veramente. Alla premiazione ci hanno fatto vedere che la più giovane aveva 20 anni il più anziano 74. C’erano coppie, gente che corre abitualmente in machina, chi lo fa per la prima volta, chi lo fa per fare una avventura nel deserto e non gliene frega della gara. La puoi affrontare in tanti modi, è aperto a tante tipologie di persone.
M.M: La cosa bella di questa gara è che te la puoi vivere un po’ come vuoi. Se la vuoi vivere in modo agonistico è difficile, tecnica e quindi hai la possibilità di confrontarti. Per ottenere buoni posti in classifica devi sudartela. Però, è anche vero che non è una Dakar. Se te la vuoi godere entro certi limiti te la puoi prendere comoda e puoi permetterti di vivertela un po’ più da “turista”.
D.B: Ma ciò non toglie che non sia impegnativa, la seconda tappa sono appunto 371 km di cui una buona parte in fuoristrada. Anche se non la vuoi prendere in modo agonistico comunque devi fartela tutta con il rischio di spaccare qualcosa.
M.M: Come aspettativa, almeno dal mio punto di vista, mi aspettavo una cosa più tranquilla, invece è veramente, veramente tosta, soprattutto in alcune parti. Nella terza tappa, per rimanere in ordine, Maadid – Merzouga, era la tappa più corta, 160km, ma forse una delle più stancanti e più difficili. Era quasi totalmente in fuoristrada e con tanta sabbia. Qui abbiamo faticato soprattutto in un punto in cui era previsto l’attraversamento di un fiume in secca di 2km e mezzo e c’è stata una buona ora di gruppi di Panda 4×2 che si tiravano fuori l’un l’altro e cercavano di uscire fuori da questo punto.
D.B: E quella dopo, invece, è stata la tappa più spettacolare (la quattro ndr.). Lì era veramente deserto aperto, ma affrontato a partire dalla montagna. Scenari ampissimi, scene alla Madmax come apertura di paesaggio e secondo me anche uno dei più divertenti. Abbiamo fatto il Tobogan de Arena, lo scivolo di sabbia. Praticamente hanno fatto scendere le auto dalla montagna attraverso lo strapiombo di sabbia. Ti buttavi giù con la Panda e poi affrontavi i km successivi in seconda per non rischiare di rimanere impantananti nella sabbia.
M.M: Mi ricordo che, per arrivarci, abbiamo dovuto affrontare una mulattiera molto difficile e, ad un certo punto, abbiamo visto un elicottero, un mezzo di soccorso dell’organizzazione e una Panda sul ciglio del precipizio. All’inizio abbiamo pensato che ci fossero stati dei problemi, che si fossero “piantati”, ma poi ad un certo punto hanno spinto letteralmente la macchina giù dallo strapiombo…
Ed è il ricordo più bello che vi viene in mente di tutta la gara?
M.M: Eh, probabilmente sì! Io mi aspettavo più o meno quello che abbiamo fatto, ma quella cosa nello specifico, no. Anche solo per un fattore di pericolosità. Avranno sicuramente verificato più e più volta la fattibilità, ma quando ti butti giù dal ciglio di una montagna… Poi alla fine intanto non si è fatto male nessuno quindi la pericolosità era relativa.
Come Ormisis parliamo di viaggi e scoperta, secondo voi il PandaRaid è solo auto e competizione o anche possibilità di contatto con culture locali/immersione nell’ambiente?
D.B: Secondo me, è un 60-40. Sessanta può essere la macchina perché è il mezzo che resta centrale e fondamentale nella gara. Deve sopravvivere 2000 km in una ambiente molto particolare, ma è una esperienza fatta per vivere i posti in cui passi. E’ una esperienza a 360 gradi, passi in paesi e paesaggi che non vedresti mai se non nei documentari, posti poveri che non ti immagineresti, paesaggi che non vedresti… Sul fatto di entrare in contatto con la gente è un po’ più difficile: quando arrivi vieni abbastanza “assalito” perché vieni visto come il “ricco turista” dal quale tirare fuori qualcosa, e l’organizzazione è la prima a richiedere di non dare nulla o cercare comunque di avere meno contatti possibili con loro. Più che altro perché può diventare molto pericoloso per loro, alcuni si buttavano letteralmente in mezzo alla strada. Ci è capitato comunque di forare una gomma e siamo stati aiutati in tutti i modi dai locali, addirittura un bambino ci ha accompagnati da uno che è riuscito a ripararci la gomma. Hai modo, per altri motivi “esterni alla gara” di poter avere un aiuto dalla gente del posto ed entrare in contatto con loro.
Da casa, seguendovi, abbiamo percepito una grande organizzazione nel PandaRaid: riprese aeree, aggiornamenti social anche dagli angoli più sperduti del deserto, buffet, accampamenti… Come è stata vissuta da voi invece, era davvero tutto così perfetto o avete riscontrato qualche gap?
D.B: In una scala da 1 a 10 darei 11. E’ veramente tutto calcolato fino al minimo dettaglio. Sanno tutto, non gli scappa nulla e probabilmente è per quello che funziona così bene, perché sono rodati: dal mangiare, la cosa che ti serve, l’assistenza meccanica… Abbiamo spaccato un collettore, il meccanico non lo aveva ma lo ha trovato nella notte telefonando al meccanico del villaggio vicino che gli ha trovato il collettore che loro non avevano… Anche per le cose “extra”, non prettamente organizzative, si adoperano per risolvere qualsiasi problema.
M.M: Anche il team di meccanici, strettamente necessario in quanto ogni sera quindici/venti macchine avevano problemi meccanico-tecnici ed erano attaccate a questi camion officina. Ci sono i meccanici che dalle 4 del pomeriggio fino alle 10 del mattino del giorno dopo lavorano. E’ veramente difficile non arrivare a Marrakech a meno che non ci sia qualcuno che compra di base un’auto non idonea al percorso, con la pretesa di pensare che cinque giorni di raid equivalgano a 5 giorni di strada normale; va a discapito loro. Ma dal unto di vista dell’assistenza, anche quella medica, hanno un elicottero dedicato per qualsiasi motivo. Da quel punto di vista l’organizzazione è eccezionale. Anche nella comunicazione lavorano molto bene, riescono in tempo reale a fornire immagini, video clip.
Sul sito c’era anche una mappa, in tempo reale, con il tracciatore GPS con la posizione di tutte le auto…
D.B: E’ una cosa che trasmette molta sicurezza, anche se sei in mezzo al nulla, da solo, sai che sanno perfettamente dove sei e si tratta solo di aspettare che ti accompagnino fino al campo. Spaccano il secondo, sul roadbook (dove c’erano scritte tutte le informazioni), segnano anche in anticipo dove puoi trovare traffico, pericolo (bambini che escono da scuola, gente in bici). E ‘ una organizzazione a 360 gradi.
Chiudo con: la rifareste, la consigliereste e a chi.
D.B: Direi entrambe le cose. La rifarei e la consiglierei bene o male a chiunque non si faccia troppo problemi durante la vacanza. Si tratta comunque di dormire in tenda. Se sei uno che si aspetta un resort non credo faccia per te, ma se vuoi vivere una esperienza intensa vale la pena per chiunque.
M.M: L’unica cosa richiesta è un po’ di conoscenza pratica. Se non hai una conoscenza tecnica è più difficile. Ci vuole un po’ di preparazione, si tratta di una gara automobilista e devi avere un briciolo di conoscenza… E’ fattibile per chi ha voglia di “sbattersi”, richiede tempo e soldi ma è veramente unica nel suo genere.