Costa Venezia e i segreti delle navi da crociera: intervista allo storico navale Matteo Martinuzzi

In occasione delle recenti celebrazioni per l’arrivo di Costa Venezia e l’innovativa MSC Bellissima, pubblichiamo la nostra intervista a Matteo Martinuzzi, storico navale, collaboratore per Il Secolo XIX, The Medi Telegraph ed esperto di crociere.  L’incontro è avvenuto in occasione della nostra visita al MuCa -Museo della Cantieristica e allo stabilimento Fincantieri di Monfalcone,  in quella che si è rivelata essere una serie di interessanti visite guidate organizzate dal Comune di Monfalcone in accordo con Fincantieri e il museo stesso, che ha sede al pianterreno dell’ex Albergo operai del Villaggio di Panzano.

UD: Le ultime grandi navi danno l’impressione di ricercare nuovamente un contatto con il mare, ponti esterni più estesi, promenades… E’ solo una impressione o alle spalle c’è effettivamente una scelta commerciale ragionata?

“Diciamo che il prodotto della nave nasce dalla richiesta dell’armatore. L’armatore, che richiede una commessa, fa una “wish list” con le caratteristiche del nave. Quindi, la tendenza a trovare aree esterne deriva da una richiesta dell’armatore, non è una questione di mercato. Deriva soprattutto da dove verrà posizionata la nave e dalle rotte che dovrà fare. La Seaside, per esempio, è una nave che è stata progettata per i climi caldi.  La “wish list” che l’armatore fornisce al cantiere costruttore prevede in questo caso una nave per i climi caldi. Però, faccio un esempio: una nave come la Costa Venezia viene concepita con piscine coperte, perché segue le esigenze di una clientela che non ama stare al sole (la clientela cinese ndr.). Quindi non c’è una tendenza fissa secondo la quale le navi del futuro saranno tutte aperte.  La Symphony of The Seas è una nave molto chiusa al mare, orientata all’interno, ma resta comunque una nave bellissima. Quindi diciamo che il mercato varia e gli armatori cercano in base al loro brand di offrire ai passeggeri qualcosa di diverso. Ci sono, adesso, in cantiere una serie di navi molto aperte al mare, che vengono dal progetto della Seaside ma non è detto che ci sia questa tendenza generale”.

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UD: A proposito di aspetti più tecnici, abbiamo anche visto che ci sono delle “prue nuove” su alcune navi. Sulla AidaNova o anche sulla Virgin, con una forma più verticale, fendente. C’è una ragione alle spalle? Qualche vantaggio idrodinamico?

Una prua non viene fatta a casaccio, ci sono alle spalle degli studi di carena per migliorare l’efficienza. Diciamo che la prua di tipo verticale, con bulbi non pronunciati, nasce perché la nave è progettata per velocità di esercizio più basse. La tendenza delle navi del futuro, con questo tipo di prua, è che faranno velocità medie più basse e quindi risparmieranno più carburante. Il bulbo, come si intende sulle navi normali, è efficiente solo sopra i 16 nodi. Quindi si può pensare che queste navi navigheranno ad una velocità inferiore. E’ una linea che viene fatta per risparmiare sul carburante e ovviamente le navi faranno degli itinerari differenti rispetto ad altre con velocità superiori di esercizio.

 

UD: Con Peter Knego avevamo parlato delle differenze di estetica tra i liners di un tempo e le navi di oggi. Quelle di una volta erano progettate da grandi architetti (Renzo Piano e la Crown Princess del 1990), oggi invece sembra che si punti maggiormente ad altri aspetti. E’ vero?

In realtà si punta ancora all’estetica. Fincantieri è molto brava nel ridurre l’effetto “scatola” con espedienti architettonici. Il volume commerciale è un “cubo” per sfruttare al meglio gli spazi;  però comunque gli architetti navali di Fincantieri cercano di ridurre questo effetto con alcuni accorgimenti, come i balconi colorati che alleggeriscono la linea della nave.  Ed esempio,  MSC Seaside ha un lamierino a poppa che fa una leggera curva verso gli ascensori e serve per migliorare l’estetica della nave. Si cerca di migliorare la nave mantenendo la massima efficienza da un punto di vista commerciale ed economico. Non è che non si guardi all’estetica,  quando parlavamo di transatlantici era completamente differente, la nave rappresentava il Paese, era un ambasciatore, se ne facevano poche, non erano un prodotto commerciale come le navi da crociera di oggi. Una filosofia completamente nuova. Il transatlantico faceva linea e già in se stesso doveva essere più veloce, doveva avere linee più filanti per essere penetrante nell’acqua. Nella nave di adesso l‘interesse è nello sfruttare gli spazi commerciali.

UD: Il liner era un prodotto unico, un’icona dello stile, un simbolo. La nave di oggi è una serie, un numero quindi…

Per le navi italiane di un tempo venivano fatti dei concorsi, dovevano rappresentare  al meglio il Made in Italy. Oggi la nave non rappresenta questo. La nave dal punto di vista architettonico non deve rappresentare un paese ma la sua funzionalità commerciale e la sua capacità di dare il benessere al passeggero di stare in quell’ambiente.

UD: Però, se non ci sono navi che rappresentano più uno “Stato” ci sono navi che devono rappresentare l’immagine di un “brand”. Come le Cunard… Navi ancora costruite con l’intento di anteporre il “bello” al “funzionale”…

Ogni brand ha il suo marchio di fabbrica. Quindi gli allestimenti devono richiamare quel marchio. Cunard ha uno stile classico, legato ancora ai transatlantici. Mortola, lo studio genovese che ha allestito la Queen Victoria e la Queen Elizabeth, ha preso a memoria le navi vittoriane di Cunard e quindi il passeggero che sale su Cunard si aspetta di salire a bordo di una nave che rappresenta uno stile da vecchio transatlantico. Ogni nave, ogni brand ha il suo stile. Sicuramente l’architetto che riceve l’appalto per allestire una nave deve cercare di riproporre al meglio lo stile dell’armatore. Non è più una questione di orgoglio nazionale ma di immagine di brand.

EDD: Parlando di estetica, quanto le esigenze ingegneristiche, anche di sicurezza, possono influenzare una certa estetica o urbanistica della nave che deve sottostare a delle esigenze commerciali? Il ponte dedicato allo shopping: una critica che molto spesso è stata fatta alla Costa, è che tendono a farli ad “imbuto”. Lì fin dove arriva l’ingegneristica, l’esigenza commerciale della nave…?

Allora, per quanto riguarda i cosiddetti  “imbuti”, da un punto ingegneristico viene fatto uno studio dei flussi. L’armatore concorda con il cantiere come gestire il passaggio da una parte all’altra della nave. Si può voler far passare i passeggeri davanti ai negozi come no.  Non è legato alla sicurezza.

EDD E’ una questione commerciale…

La nave viene comunque costruita secondo la normativa SOLAS che è la bibbia costruttiva delle navi. Quindi non c’è ragione commerciale che ti possa non far seguire questa normativa. La base per partire sono le norme di sicurezza. Una nave di oggi viene costruita con il “safe-return to port”, Compartimentazione stagna, linea tagliafuoco, non si può andare oltre a queste normative.  Esempio: la Royal Promenade di Royal Caribbean, un enorme salone disposto in lungo, è diviso in paratie tagliafuoco che si chiudono a ghigliottina. Un passeggero “normale” non nota queste cose. Però anche una nave come RCCL, che è strutturata in spazi enormi, deve essere isolata al fuoco. Queste caratteristiche non si possono saltare per motivi di estetica commerciale. Si cercano di mascherare ad esempio le porte tagliafuoco, sono a scomparsa, sono mimetizzate con il colore della parete, ma in caso di necessità sono pronte ad essere chiuse.

EDD: Dopo il disastro della Concordia, da Vespa vennero ospitati degli ingegneri che spiegarono, con il solito e immancabile plastico, che comunque era un disastro che poteva dare il via a dei nuovi studi di sicurezza degli scafi, che avrebbe influito sulla costruzione, su nuovi criteri costruttivi. Però, a memoria mia, anche la Stockholm tagliò l’Andrea Doria di lato, per cui l’affondamento dovuto allo scafo tagliato di lato non è una novità. 

Sulla Concordia sono state dette un sacco di scemenze. Tutto quello che avete sentito in televisione chiudetelo in un cassetto del cervello e abbandonatelo. La Concordia non ha influito per niente sulla regolamentazione della costruzione delle navi. Adesso le navi vengono costruite con il “safe-return to port”: la nave deve essere in grado di rientrare in porto in caso di sinistro con i propri mezzi da 1000 miglia nautiche di distanza. Sono generazioni più avanzate rispetto alla Concordia, ma la “safe-return to port” è entrata in vigore il 1 Luglio 2010, quindi ben prima dell’incidente della Concordia. Le prime navi che sono entrate in servizio con questa normativa sono del 2013 –Royal Princess di Fincantieri-. E’ tomo di 1000 pagine,  però prevede una ridondanza completa della nave che le precedenti non avevano.

EDD Cosa vuol dire ridondanza completa della nave?

Impianti sdoppiati, quindi in caso di black out c’è un secondo quadro di emergenza che permette di evitare il black out completo della nave in avaria. Tipo la Costa Allegra, che era rimasta alla deriva al largo delle Seychelles. Ci sono due ponti di comando, quello titolare e quello di backup, così nel caso di un attacco terroristico, incendio ecc… il primo viene evacuato e c’è il secondo di servizio. C’è un’area che si chiama “The Heaven”, che non ha niente a che fare con quello della Norwegian (area VIP ndr.),  un’area vicina alle cucine dove ci sono sempre servizi igienici, corrente elettrica e dove si possono servire sia passeggeri che equipaggio. Ma tornando alla Concordia, la nave ha resistito molto più di quello che doveva: da un punto di vista costruttivo ha dato degli ottimi risultati, ha galleggiato molto più del previsto, era stata progettata per galleggiare con due compartimenti stagni allagati e nell’incidente erano quattro, quindi il doppio del danno pre calcolato. Da un punto di vista progettuale ha dato possibilità di galleggiare molto di più, salvare molte più persone. E’ stato un risultato molto positivo che ha mostrato quanto la nave fosse robusta.

UD: Recentemente  ho visto un tuo articolo dove parli del ritorno del Mediterraneo come mercato di punta, di una nuova crescita per un mercato che comunque negli ultimi anni è stato in “sofferenza”. E’ una crescita che si registra solo nei grandi porti, già aggregatori di un notevole flusso turistico (Roma, Atene ecc) o anche in scali di nicchia?

Adesso la crescita del Mediterraneo è divisa in due: Mediterraneo occidentale, dove vanno a finire tutte le nuove navi , e il Mediterraneo orientale che è ancora in crisi per i problemi in Turchia, Mar Nero, Tunisia e soprattutto per il problema di Venezia, che era accentratrice del traffico, un porto di riferimento. Non potendo ospitare le “grandi navi” più recenti ed eco-compatibili sta perdendo traffico invece che aumentarlo. Tutta la nuova capacità che viene immessa nel Mediterraneo va nei soliti porti dove si fa il cosiddetto “traghettone” e si riesce a riempirle abbastanza bene a prezzi competitivi.

EDD Quindi i porti italiani del mediterraneo occidentali (Genova-Savona-Napoli-Roma) stanno riscuotendo un successo maggiore.

UD: Venezia:  che cosa ne pensi? Quali potrebbero essere le soluzioni?

Venezia è il tipico scandalo all’italiana:  Si sono fatte delle normative per impedire alle navi più moderne eco-compatibili di entrare nella città. Le navi che abbiamo adesso sono quelle più vecchie, meno sicure e che inquinano di più. Non è stato fatto un bene, è stato fatto un male. E portando navi più piccole sono aumentati i transiti lungo la Giudecca. E’ solo una questione estetica, da un punto di vista di sicurezza, le navi corrono in un canale e se la nave esce da questo canale si insabbia e di certo non finisce su un palazzo. Corrono a 6 nodi con cavo voltato, quindi al minimo problema è il rimorchiatore che ferma la nave.

UD: Due rimorchiatori, giusto?

Sì, uno a prua e uno a poppa. Il futuro sarebbe di riadattare il canale Vittorio Emanuele al traffico delle navi da crociere, che è stato attivo fino agli anni 2000. L’ultima nave che è passata è stata la Costa Tropicale che si è insabbiata nel 2001. Quindi, quella è l’unica soluzione, al momento, se non si vuole passare dalla Giudecca.  Però purtroppo in Italia non si decide, non si sa quando avverrà questa decisione ma bisogna tenere centrale la Stazione Marittima, è il terminal più bello ed efficiente. Civitavecchia stessa si nasconde a confronto…

UD: Anche se  recentemente ne hanno aperto uno nuovo a Civitavecchia?

Certo, Venezia ne ha quattro di terminal nuovi. E come logistica è, credo, il miglior terminal del Mediterraneo. In questo momento sta lavorando  sotto capacità, anche con un grosso rischio per l’occupazione. E’ una situazione molto critica.

EDD:  Prima, durante la visita nel cantiere, hai parlato delle navi Polar Class. Ci sono altre classi? Quanta versatilità hanno? Una Hurtigruten può navigare esclusivamente in alcuni mari? Quali sono i limiti?

Le Polar Class fanno parte della navi da crociera expeditions. Sono navi più piccole, solitamente sono sotto le 20 mila tonnellate. La tendenza attuale è quella di costruire una nave expeditions con tutte le caratteristiche polar class, in quanto molte sono destinate a navigare in Artico e Antartide. Le caratteristiche differenti di queste navi sono lo spessore delle lamiere e la paratia anti sfondamento a prua, che è stata concepita per poter  urtare gli iceberg.  Un iceberg potrebbe fendere la lamiera di una nave da crociera normale, ma non di una polar class. Forse il doppio scafo potrebbe diventare una costante anche per le altre navi.

 

Amburgo: un pomeriggio in musica e storia

Arrivati ad Amburgo, in una piovosa giornata di metà Agosto, una prima definizione che siamo riusciti a trovare per descrivere i fasti e i contrasti di questa affascinante metropoli tedesca, è quella di: “una città moderna, ma non nuova”. E sarà nostro compito, in questo breve articolo, guidarvi non solo verso la comprensione di questa nostra personale chiave di lettura, ma anche in un intrigante itinerario pomeridiano che ci ha portati alla scoperta del panorama artistico, storico e culturale di una città che è stata la dimora di una delle più vivaci scene musicali dell’età moderna.

Sopravvissuta nella sua essenza allo scorrere inesorabile e talvolta nefasto del tempo, come le correnti del fiume Elba che ne hanno forse eroso le rive, o i bombardamenti della seconda guerra mondiale che l’hanno avvolta tra le fiamme, ridotta in cenere e macerie, ma mai scalfita al punto da vedere traviata la propria identità di polo commerciale di grande rilevanza e di  capitale di inestimabile valore storico e culturale.

 

Come una fenice, Amburgo è sempre rinata, ma senza mai lasciarsi alle spalle ciò che è stato di lei o che l’ha resa grande nel tempo.  E oggi più che mai lo rivendica con orgoglio, con la stessa tenacia con la quale nei primi anni ’50, la Volkswagen e lo studio DDB di Bernach riuscirono a rompere il muro del pregiudizio verso un progetto tedesco, lanciando l’anacronistico New Beetle nell’agguerrito e nazionalista mercato americano.

Anche in questo caso la Germania si colloca, agli occhi del turista a caccia di storia e cultura, sul podio per quello che concerne la riqualificazione del territorio e la promozione culturale e artistica.

Una città che tanto ammaliò uno dei suoi più illustri cittadini, Johannes Brahms, che perfino durante la sua lunga vita a Vienna  ne rimpiangeva i panorami sugli argini e le passeggiate tra le vie natali. L’anti-Wagner che aveva fatto del gusto classicheggiante della società capitalista borghese della Grunderzeit,  legata al bisogno di valori certificati da un passato illustre, il cardine compositivo delle sue opere che è ben evidente anche come leif-motiv della pluricentenaria vita amburghese.

Ne è un esempio lampante il “KomponistenQuartier”, fedelmente ricostruito dopo la fine della seconda guerra mondiale, ad un centinaio di metri dalla elegante stazione liberty di St.Pauli, tra palazzine in mattoni rossi , travi in legno ed eleganti bovindo tinteggiati di bianco.

Qui, affacciato sulla caratteristica Penterstraße, tra il 1971 e il 2016 ha trovato dimora un nuovo complesso di musei:  il “Brahms Museum” e l’adiacente museo dedicato ad altri compositori di fama mondiale, ognuno di loro legato indissolubilmente alla scena musicale di Amburgo tra il XVIII e il XIX secolo. Come Georg Philipp Telemann, che definì sagacemente Amburgo come: “la città in cui la musica sembra aver trovato la propria patria”; Carl Philipp Emanuel Bach, meglio conosciuto come: “il Bach di Amburgo”; Johan Adolf Hasse, che cominciò la propria carriera presso la Hamburg Opera House di Gansemarkt;  Fanny e Felix Mendelssohn, entrambi nati ad Amburgo e  Gustav Mahler, che si trasferì ad Amburgo nel 1891 per ricoprire la carica di Primo Direttore presso l’Hamburg Stadt Theater.  Le loro storie e il loro genio raccolto in poche sale, tra partiture originali, libretti e strumenti che permettono di ripercorrere in un avvincente itinerario storico, culturale e artistico la vita di Amburgo “in musica”, dal barocco all’età moderna.  Il tutto, in una cornice deliziosamente curata dai numerosi volontari della “Johannes – Brahms – Gesellshaft Internationale Vereiningung e V.”, fondata nel 1969.

       

E ad Amburgo,  per attraversare oltre un secolo di cultura musicale e ritrovarsi lungo gli argini di Baumwall, a pochi metri da una delle più innovative sale concerti al mondo,  possono bastare appena tre minuti di tragitto. Come? Lungo il tratto più scenografico della linea U3, la “linea gialla” della metropolitana,  che tra St.Pauli, Landungsbruken e Baumwall sfocia in una panoramica sopraelevata sugli argini dell’Elba, oltre i quali potrete ammirare l’imponenza del complesso del Blohm+Voss Shiffswerft, orgoglio della cantieristica e della industria navale tedesca, attivo fin dal 1877.

 

Ma stavamo parlando, appunto, dell’Elbphilarmonie. Inaugurato nel 2017, con un investimento complessivo di circa 789 milioni di Euro che ha previsto la trasformazione del Kaiserspeicher -il più grande magazzino portuale di Amburgo,  costruito nel 1875 e inizialmente adibito al deposito di cacao, tabacco e tè- in una struttura avveniristica: un auditorium unico nel suo genere progettato da Pierre de Meuron, Jacques Herzog e Ascan Mergenthaler. La struttura è inserita nella suggestiva cornice del porto di Amburgo, lungo il fiume Elba. Al suo interno: una Grand Hall da 2.100 posti, una recital hall e una sala da 150 posti specificamente progettata per seminari e workshops curati dal programma di educazione musicale: “World of Instruments”. Ma anche un hotel, un ristorante birreria, una terrazza panoramica e quarantacinque lussuosi appartamenti.  Una maestosa struttura in vetro curvato, come un grande cristallo incastonato nella città. Nei suoi  1000 pannelli, non solo sembrano specchiarsi i campanili delle grandi chiese di San Michele e San Pietro, o la vetta in bronzo del grandioso municipio neorinascimentale, ma anche le luci, i colori e i riflessi lungo il torbido corso dell’Elba. Attraverso cui, ancora oggi, navigano lente e solenni grandi navi che con tre fischi lunghi sembrano rendere omaggio a questa, seppur moderna, pietra miliare nel costante processo evolutivo di una grandiosa capitale culturale.

         

Panta Rhei, diceva Eraclito. Non saranno mai le stesse acque a bagnare le rive di Amburgo, ma resterà ancorata tanto alla memoria quanto al progresso,  e non perderà di certo l’occasione di stupirvi.