La celebre frase di Enrico di Navarra, che nel momento in cui a termine della sanguinosa Guerra dei tre Enrichi del ‘500 dovette convertirsi al cristianesimo per salire sul trono di Francia, è la prima frase che viene in mente quando, al termine degli scalini umidi di pioggia della fermata Saint-Michel del Metro B della capitale francese, ci si ritrova immersi nell’aria gelida e pungente che soffia lungo la Senna sotto il cielo plumbeo di una giornata di fine Novembre e il consueto accalcarsi indistinto di turisti tra la Rue de la Cite’, la Promenade di Quai Saint-Michel e il portale del Giudizio Universale della cathedrale di Francia.
Ma se tra il venditore ambulante di selfie sticks e le biglietterie dei bateau mouche c’è una camionetta della Gendarmerie de France, ad appena otto giorni dagli attentati terroristici del 13 Novembre 2015, i riflessi dell’Ala Denon del Louvre sulla superficie increspata della Senna passano in secondo piano e c’è chi preferisce inquadrare nel proprio obiettivo i giubbotti anti proiettili del gendarme che tanto ricordano quelli già visti nelle riprese della drammatica incursione al Bataclan o alla sede di Charlie Hebdo.
Parigi risponde bene e come sempre la verve combattiva tipicamente francese si distingue nei gesti, nelle parole e nel modo in cui a viso scoperto la Ville Lumiere non si fa spegnere nemmeno da 118 morti nel X Arroundisment, a quindici minuti dal Parlamento. In una sorta di revanchismo del XXI Secolo, la Francia non ringrazia chi le fa forza, glissa le domande in un “è quello che dobbiamo fare” e tutti capiscono le lingue straniere ma nessuno le sa apparentemente parlare. Come è sempre stato.
I mercati di natale di Place de la Concorde e i negozi degli Champes Elisee restano gremiti di turisti e per qualhe istante tutto sembra attenuarsi tra bancarelle di huitre de Normandie, degustazioni di formaggi, escargot e tovagliette con ricami natalizi. Ma basta una mano sul petto da parte della security di Zara e la richiesta di controllare borse e cappotti a farvi ripiombare in una realtà che maschera la tensione tra le luci e gli sfarzi di una sfavillante capitale centenaria.
Fermate della metro, luoghi di culto –persino la meno nota Eglise de Saint German de Prés – sono controllate agli ingressi da forze dell’ordine in divisa e fucile imbracciato, tra i flash dei turisti e i tavolini dei dehors dei bistrot dove potrete comunque, se all’apparenza vi sentite sicuri di farlo, sorseggiare un vin chaud mentre un senzatetto all’angolo suona con la sua fisarmonica il ritornello di “Sous le Ciel de Paris” di Edith Piaf.
Il Sacre Coeur, il monumento più bianco di Europa insieme al Vittoriano di Roma, continua a svettare e dopo una fredda pioggia di metà autunno sarà sempre più bianco. Le tre cupole dominano la città dalla collina ai piedi del IX e del X Arroundissment, dove al fondo del Boulevard de Magenta, a Place de la Republique i manifestanti iniziano a scaldarsi all’urlo di “Paris en Marche!” per l’inizio della “Conferenza Internazionale sul Clima” che terrà Parigi paralizzata per una giornata intera, il 29 Novembre, quando si conteranno 289 fermi e 174 arresti.
Gli attacchi alla capitale del XIX secolo, come fu definita da Walter Benjamin nel 1939, città pioniera della moderna urbanizzazione e del progresso tecnologico e artistico che l’hanno vista protagonista indiscussa della Belle Epoque, è senz’altro un punto di rottura fino ad ora mai raggiunto all’interno dello spirito occidentalista che ha sempre ritenuto la propria realtà separata da un muro invisibile e intangibile dall’oriente lontano, mistico e dispotico. Rottura che si realizza –o viene percepita?- solo al culmine di un processo di progressivo allentamento dei confini territoriali dovuti alle “rotte della speranza”dall’Africa, alla caduta dei regimi dittatoriali nel Maghreb fino all’impoverimento dovuto alle guerre in Siria e Vicino Oriente, verso l’Europa e le ex madrepatrie coloniali.
Una presenza che all’apparenza non spaventa la Francia per la propria natura o per il proprio credo ma per l’incontrollabilità delle azioni del “califfato” e per l’influenza che queste potrebbero avere per mezzo della propaganda
fondamentalista, anti-occidentale e filo-islamista facendo leva sui caratteri culturali e religiosi intrinsechi non solo delle prime quanto anche delle seconde generazioni di immigrati islamici in Francia.