i DAMMS Art sono un duo di designer, Daniela Arnoldi e Marco Sarzi-Sartori, lei ingegnere, lui architetto. Sono dei celebri esponenti della fiber art, arte fatta con materiale tessile, nel loro caso, materiale riciclato. Costruiscono opere di grandi dimensioni affrontando tematiche differenti, sempre di grande interesse. La loro fiber art è un medium che riescono a utilizzare come strumento già a sè stante per la grande spettacolarità del risultato finale: la figurazione del soggetto risulta così ancora più coinvolgente se non addirittura travolgente per lo spettatore: stupefacenti viste a distanza, le opere dispiegano la loro bellezza anche nei dettagli della lavorazione e permettono di essere esperite anche da molto vicino. il concept è il motore dell'idea ma la realizzazione trasmette l'intenzione attraverso il gesto artigianale minuzioso, pensato esteticamente non solo nel dettaglio ma proprio come un sistema semiotico dotato di sensi distinguibili e inequivocabili nell'insieme ma anche sovrapponibili e reinterpretabili distintamente nelle unità di dimensioni minori. I DAMSS hanno esposto ovunque, in Europa, in Cina, in America e la loro indagine dell'attualità e dell'arte attraverso la materialità interseca varie traiettorie artistiche, come la moda, il design, le installazioni. La tecnica del cucito fa da supporto alla concept art che parte dalla scelta del materiale, stoffa e e fibre di recupero che diventano linguaggio per rappresentare il mondo attuale e la cultura: ecco opere come quella dedicata al cinquecentenario dalla morte di Leonardo da Vinci, "L'ultima cena DAMSS 500", o il ciclo relativo alle città del futuro, immaginate come potrebbero essere tra 1000 anni. L'ultimo lavoro dei due artisti, "Inferno 3000", di cui abbiamo visto il backstage alla fiera dell'artigianato Abilmente Vicenza e che verrà esposto ad Abilmente Milano a novembre, celebra i 700 anni dalla morte di Dante Alghieri ed è il risultato di una riflessione su cosa potrebbe aver pensato Dante del mondo di oggi, distrutto e inquinato e irreversibilmente modificato. Probabilmente avrebbe collocato i maggiori responsabili nel I Girone del Cerchio VII (cerchio dei violenti, girone dei violenti contro il prossimo e le cose, Canto XII). le opere dei DAMSS possono essere visualizzate nella pagina dedicata del loro sito e sul loro Instagram e l'opera intera "Inferno 3000", un pannello di 12 metri per 4, sarà visibile ad Abilmente Milano dal 4 al 7 novembre 2021. Ulteriori informazioni sull'opera e Abilmente Milano ho incontrato i DAMSS ad Abilmente Vicenza per una breve intervista sulla loro opera
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i gioielli e noi: preziosità e rappresentazioni in mostra a Vicenza
A Vicenza, situato sotto la Basilica Palladiana in Piazza dei Signori c’è il Museo del Gioiello, il primo in Italia, dove sono conservati manufatti preziosi di qualsiasi epoca, fattura, materiale e finalità.
Generalmente pensiamo ai gioielli come un bene del tutto voluttuario, se non addirittura superfluo, appannaggio di donne appartenenti a ceti elevati, non ci soffermiamo assolutamente a pensare al loro valore storico, alla loro eventuale funzionalità, al messaggio di cui possono essere portatori, insomma del loro valore culturale, dove per cultura intendiamo simboli, pratiche, rappresentazioni, valori condivisi nel luogo e nel tempo da un determinato gruppo sociale.
La mostra “Gioielli Italiani” allestita al Museo del Gioiello di Vicenza è interessantissima perché è un excursus lungo tutte le declinazioni e traduzioni dell’oggetto: sono esposti quelli che intendiamo comunemente come gioielli, cioè oggetti che utilizziamo per abbellirci ma ci sono anche tantissimi altri oggetti definibili “gioielli” e che, seguendo l’idea generica alla quale ci appoggiamo quando pensiamo e ci rappresentiamo nella mente un manufatto appartenente a questa categoria di oggetti, non riconosceremmo mai come gioielli, e in alcuni casi forse avremmo anche delle perplessità.
La mostra è suddivisa per aree tematiche e già con questo tipo di suddivisione possiamo capire che l’oggetto ha un significato modificabile a seconda del contesto e del valore attribuitogli, che non sempre coincide con quello materiale: dicevo, sono esposti gioielli “convenzionali” ( uso questo tipo di etichetta al solo scopo di farmi capire) ma anche oggetti del tutto inaspettati, come collane o bracciali di materiali poveri legati a tradizioni religiose tipiche di altri luoghi ed epoche rispetto alla quella Europea attuale, o anche realizzazioni che sono la materializzazione di concetti complessi che sono il frutto di una riflessione sul sacro nella contemporaneità e della sua relazione con i materiali e con la tutela dell’ambiente.
La mostra mette in risalto l’antico, il sacro, la bellezza, l’ingegno, la ricerca intellettuale, la finezza dell’artigianato in una sorta di paesaggio del gioiello che si svolge e racconta da quelle che sono le roccaforti ideali del gioiello italiano: Arezzo, Torre del Greco, Valenza e appunto Vicenza. Ma è anche un viaggio nel tempo, nella religione, nella sfide dell’arte contemporanea, nella creatività attraverso le sale del Simbolo, della Magia, della Funzione, della Bellezza, dell’Arte, della Moda, del Design, delle Icone e del Futuro
Questa mostra è bellissima ed è per tutti perché parla dell’umanità, del rapporto tra noi e il nostro tempo, il nostro gruppo sociale di riferimento e gli altri, e con tutto ciò che può voler dire “noi” e “loro” , “adesso” e “una volta” e “domani”, “qui” e “là”.
Ho parlato di questi aspetti simbolici con la Professoressa Alba Cappellieri, direttrice del Museo del Gioiello di Vicenza, professore ordinario e presidente del Corso di Laurea in Design della Moda al Politecnico di Milano, docente a Stanford e direttrice del Master in Design del Gioiello al Politecnico di Milano.
Info su orari, biglietti e convenzioni https://www.museodelgioiello.it/it/
La mostra è suddivisa per aree tematiche nelle quali il gioiello viene idealmente collocato, quasi delle aree semantiche in cui il gioiello diventa uno strumento di espressione dei contesti sociali nel tempo. Vediamo manufatti completamente diversi tra loro e in certi casi la preziosità oggettiva è completamente assente. Quindi cosa si intende per “gioiello” esattamente? Perché si può attribuire una qualche forma di preziosità anche ad oggetti in plastica a perdere come il rosario “usa e getta” in pluriball ( dato che, tra l’altro il rosario non si butta e viene generalmente benedetto)?
Alba Cappellieri: Il Museo del Gioiello di Vicenza ha proprio l’obiettivo di far domandare al visitatore cosa è un gioiello oggi: un’espressione di ricchezza o di creatività? Un simbolo di status o di bellezza? Un investimento? Un accessorio? È artigianato, moda, arte o design? La risposta è che non esiste il gioiello universale e assoluto, ma diverse concezioni di gioiello, legate al tempo, alla cultura, al gusto, in sintesi: alla storia dell’uomo.
Al Museo del Gioiello di Vicenza il gioiello viene descritto nella sua complessità ed eterogeneità attraverso nove micro mondi – magia, simbolo, funzione, bellezza, arte, moda, design, icone e futuro – in cui non è il materiale prezioso a determinare cosa sia un gioiello e cosa no. Ecco quindi che un progetto acuto come RosAria di JoeVelluto acquisisce preziosità grazie al valore del progetto. A metà tra il simbolo, il design, il futuro e la funzione, RosAria è un rosario con una croce, realizzato in pluriball (polietilene riciclabile). Quando il fedele sta pregando, fa scorrere il rosario con le dita verso la croce, spingendo giù il modulo d’aria alla fine di ogni preghiera. Il compito è finito quando arriva alla croce e tutte le bolle vengono fatte saltare in aria. Il concetto di prodotto industriale di massa di scarsa qualità viene trasposto sul simbolo sacro dell’eternità a tal punto da essere un oggetto usa e getta. La spiritualità diventa seriale e temporale dove l’uomo compie un’azione decisiva. La funzione del rosario termina definitivamente quando il fedele sente che la sua coscienza è purificata: la preghiera è una fase di transizione che non lascia tracce.
Abbiamo visto come il gioiello diventi rappresentanza di contesti riservati o circoscritti come quello religioso o regale, e che anche quando assume un valore funzionale, come il binocolo da teatro, la spilla da foulard o il portasigarette, rimane comunque un segno di distinzione. Lo stile ha chiaramente rispecchiato il gusto delle epoche in cui venivano realizzati. Durante la prima metà del ‘900 i regimi si sono espressi con una loro estetica: c’è stata una produzione di gioielli che potessero essere appannaggio solo dei gerarchi fascisti o nazisti e dei capi del partito comunista nell’ex Blocco Comunista? Se sì che ne è stato di queste produzioni e che retaggio estetico hanno lasciato?
e cifra reale,2017
Come accennavo il gioiello è legato al tempo e alla cultura. Chiaramente lo è stato anche per i periodi a cui fa riferimento. In questi gioielli sono principalmente i simboli a dominare la scena: i distintivi sovietici o nazisti dichiaravano in modo letterale e con una sfacciata esibizione di segni del regime l’appartenenza ad una ideologia. Usare gli ornamenti come manifesto è oggi cosa comune. Si pensi agli anelli chevalier utilizzati, di base, per pressare la cera e siglare le lettere, che avevano lo scopo di identificare casati e famiglie nobili, proprio grazie agli stemmi che li contraddistinguevano e che oggi vengono utilizzati per comunicare l’appartenenza, ad esempio, ad un’università prestigiosa, o semplicemente per mettere in mostra le proprie iniziali.
Lei ha scritto un interessantissimo libro sulle corone e i diademi, un viaggio storico fino alla dissacrazione delle proteste simboliche di ispirazione punk o l’omaggio della moda nei confronti della tradizione religiosa come per esempio le proposte di Dolce & Gabbana. La corona è un simbolo legato alla nobiltà, che tutt’al più può essere ridotto a imitazione nell’ambito del gioco della moda: perché il gioiello di stato e di rappresentanza non ha avuto alcuno spazio nell’ambito delle cerimonie pubbliche e nelle forme di governo repubblicane?
Nelle forme di governo repubblicano è intrinseco il concetto di democrazia mentre i gioielli, in particolare le corone a cui fa riferimento, sono stati il simbolo per eccellenza di regalità, hanno scandito la storia dell’umanità e sancito la rigida divisione gerarchica che ha contraddistinto la società, dal Paleolitico alle moderne democrazie. Indossate sulla sommità del capo creano quell’estensione del sé che differenzia l’uno inter pares; spesso sono sormontate da una croce su un globo, per ribadirne la sacrale portata e sancire il suggello di un patto con il popolo garantito dalla provvidenza divina. L’immagine tradizionale della corona è in oro, materiale puro e alchemico, intriso dal luccichio di diamanti, perle e pietre allegoriche colorate, come narrato da Paul Claudel. Eppure le prime corone erano in materiali poveri, se è vero che in epoca preistorica un sottile ramo curvato e ripiegato rappresentò il primo naturale ornamento per il capo, in omaggio al carattere sacro che l’albero rivestiva nelle religioni antiche e alla maestà divina. Di conseguenza, la sua sacralità si trasferì a quei mortali che apparivano collegati con la divinità, ovvero sacerdoti e sovrani, ma anche coloro i quali si trovavano sotto la grazia divina: dai vincitori dei giochi ai valorosi in guerra, dagli sposi delle feste nuziali ai defunti delle cerimonie funebri.
C’è una sala dedicata alla magia, al gioiello simbolo, usato nei rituali religiosi di varie parti del mondo, dall’Africa all’Italia dell’età del ferro, molti reperti trovati nella zona del bellunese. Qui il valore del gioiello dipende da quella che in antropologia viene definita l’agency, cioè il suo potere di creare o modificare situazioni, stati d’animo, come se in quel momento l’oggetto diventasse una porta verso la dimensione del trascendente. Alcuni di quelli trovati in provincia di Belluno sono bracciali in lega di rame con testa di serpente. A quale popolo e cultura sono ascrivibili?
I gioielli che cita sono dei bracciali del IV-V secolo d.C. trovati a Sovramonte ma ciò che sappiamo è che il serpente è molto presente nella gioielleria romana, soprattutto sotto forma di bracciali e anelli. Per i Latini il serpente è agathodaimon, uno spirito benevolo, che protegge la casa e i suoi abitanti e che è dotato dell’abilità di attraversare il labile confine che divide la luce dalle tenebre ed è capace di adattarsi sia alle profondità sotterranee che alla superficie. I bracciali con teste di serpente, presentati a conclusione della dimensione crepuscolare, ci conducono oltre la penombra, accompagnandoci nell’oscurità della notte.
Nella sala delle icone ci sono i micromosaici, il neo-egizio: lavorazioni stupefacenti. Perché avete utilizzato il termine “icona”?
La Sala Icone fa fare al visitatore un salto temporale fino alle radici del gioiello italiano e presenta opere che sono riuscite a valicare il tempo e sopravvivere alle mode. Grazie all’aiuto di Emanuele e Gabriele Pennisi abbiamo scelto pezzi che raccontassero storie, non solo perché testimoniano antiche tecniche che oggi risulterebbe difficile replicare, ma anche perché essi stessi hanno elementi figurativi e quindi narrativi.
Un commento finale: la sala dell’arte contemporanea mi ha molto colpita, il gioiello cinetico, e il bracciale “il vello d’oro”,
Giorgio Facchini, bracciale “Movimenti Cinetici” 1969 Giovanni Corvaja, bracciale “il vello d’oro” 2008
le spille a fili “sbalzati” ( mi perdoni il termine sicuramente improprio) che creano i rilievi tridimensionali; si va molto oltre la moda, sono vere e proprie sculture in miniatura: a grandi linee, qual è la demografia del pubblico che si riconosce in questi gioielli concettuali così straordinari?
Sono coloro che hanno la sensibilità per cogliere l’intensità delle sperimentazioni degli artisti orafi che presentiamo in questa sala. La ricerca materica, tecnica e di linguaggio qui non ha confini ed è fatta per chi non si ferma alla superficie ma ama conoscere e comprendere l’intero processo che porta al risultato finale.
Architecture: Chipperfield Exhibition in Vicenza
Last week I’ve been invited to a press conference with archistar David Chipperfield that will be the protagonist of the next architecture exhibition at Basilica Palladiana in Vicenza. The conference was hosted by Vicenza deputy mayor Jacopo Bulgarini d’Elci and Lorenzo Marchetto, president of association Abacoarchitettura that had already organized previous successful exhibition in Vicenza about Mario Botta, Renzo Piano, Tadao Ando, Alvaro Siza, Toyo Ito and many other archistars. It has been 12 years that an architect exhibition wasn’t set in Vicenza and Chipperfield’s exhibition marks the return of a new sequence of events about architecture in one of the most important towns of the world known for architectural style and tradition due to Palladio works and influence still strong nowadays.
The conference has been very interesting and Chipperfled has said that many times people that get in touch with architecture follow a misunderstanding i.e. we look at architecture as images instead as environments where we have to move and live.
I asked Chipperfiled about this: I am a person that,
as many others, attends to exhibitions and as a journalist of performing arts I have to highlight that architecture, especially in the late XIX and during all the XX century has been very influential toward the other arts and mostly in cinema and dance due to its strength as image. I asked him if, in his opinion, it is still possible that architecture can inspire the performing artist to create unforgettable shows. He answered me that a performance is a moment and that architecture is not a performance, it develops in a long period, that architecture has a different responsibility that can be conveyed in different ways but architects are not artists and they have to be integrated in a social process.
Someone has asked about the set of the exhibition and Chipperfield showed a draft of the set inside the main hall in the Basilica
David Chipperfield’s works are all around the world, from Germany to Japan
The exhibition will be set in Basilica Palladiana, Piazza dei Signori in Vicenza from may 12th 2018 to September 2nd 2018
All the infos about updates and events
http://chipperfield.abacoarchitettura.org
LOVE – L’arte incontra l’amore al Chiostro del Bramante
Di Roma, Giotto diceva che è la città degli echi, la città delle illusioni, e la città del desiderio. Ma se avesse potuto spiare dal buco della serratura del portone del Giardino degli Aranci all’Aventino, da cui si vede il celeberrimo “cupolone” di San Pietro, avrebbe aggiunto che Roma è senz’altro anche la città delle grandi sorprese e dei tesori celati. Come il Chiostro del Bramante che, se viaggiate in coppia e non vi siete ancora innamorati lungo la passeggiata del Pincio che sovrasta i tetti rossi del centro e le fontane di Piazza del Popolo, o se affrontate una visita in solitaria e cercate di innamorarvi a Roma e di Roma come in un film di Fellini, offre fino al 19 Febbraio 2017 una mostra dal titolo che potrebbe guidarvi verso il vostro
obiettivo meglio di una bussola: “Love – l’arte contemporanea incontra l’amore”. Per cominciare, trovate il vostro partner. Potrete sceglierne ben quattro durante la vostra visita alla mostra: David, John -la nostra scelta- Coco ed Amy.
Love, Amor. Quattro lettere, due sculture e due lingue -l’inglese e il latino- con le quali Robert Indiana vi darà il benvenuto in un percorso di analisi e scoperta del sentimento che già tanto guidò artisti del calibro del Bernini -con Amore e Psiche- o della letteratura come Leopardi o Dante Alighieri, nelle sue forme più lontane e distaccate, come l’amore plastico di Tom Wesselmann in “smoker”, l’adorazione a tratti feticista di quelle labbra rosse e quella sigaretta pendente avvolta in una nube di fumo grigio, dagli evidenti richiami ad un’ ideale di sensualità che posa le sue radici nel fascino delle grandi dive come Marlene Dietrich, Anita Ekberg o Ava Gardner e che, per chi lo ricorda, potrà far tornare alla mente i mille accendini pronti ad accendere la sigaretta di “Malena” nel film di Giuseppe Tornatore. Serie di opere che, tra l’altro, ispirò persino i Rolling Stones per la loro cover di Sticky Fingers.
O ancora, l’amore in grado di trascinarci in realtà kafkiane, oltre i limiti della razionalità, come Ragnar Kjartansson -celebre artista islandese- nelle vesti di un crooner americano impegnato a cantare “Sorrow conquers Happiness” accompagnato da una orchestra ad undici nella sala concerti di Vibesk, in Russia.
Marc Quinn con “Kiss”, invece, vi racconterà di come l’amore possa andare oltre la bellezza del corpo e la proporzione delle forme che l’arte classica ci ha insegnato ad apprezzare nonché accettare, mostrandoci un tenero bacio tra due persone affette da sindrome di Dawn. Ma amore anche per l’arte, appunto, ad opera del bresciano Francesco Vezzoli, che in una serie di squisiti confronti -la cui protagonista indiscussa è Eva Mendes, oltre che lo stesso artista ritratto in un busto impegnato a rubare un bacio ad un affascinante e giovane Apollo- ci mostra il narcisismo dell’età moderna che si specchia con la bellezza classica di opere come la nascita di Venere di Ludovisi, il trionfo di Paolina Borghese e l’Estasi di Santa Teresa.
Una giovane madre, ripresa nelle forme austere delle iconografie sacre della Madonna con Bambino, spogliata dalla propria veste sacra e resa umana come mezzo di narrazione per una maternità che va oltre il fattore biologico, è invece l’ideale di amore sul quale Vanessa Beecroft vorrà farvi riflettere, o sulla nascita e la degenerazione del sentimento -per mezzo del linguaggio cinematografico- secondo Tracey Moffett.
“La più desiderata delle donne con il suo carico di amori infelici” è invece la descrizione più azzeccata per una delle reversal series di “One Multicolored Marylin” di Andy Warhol che troverete esposta verso il termine della vostra visita.
Ma infine, prima di scendere i ripidi scalini del chiostro di Santa Maria della Pace, non perdete l’occasione di entrare letteralmente nella maestosa installazione dell’eclettico Yayoi Kusama: “All the Eternal Love I Have for the Pumpkins”, per una foto ricordo in uno stravagante universo di specchi, luci, riflessi e gialle e splendenti zucche maculate.
“LOVE – l’arte contemporanea incontra l’amore” è in mostra al Chiostro del Bramante fino al 19 Febbraio 2017.
Il Chiostro del Bramante si trova in Via Arco della Pace, 5.
IN METROPOLITANA (Linea A)
Fermata SPAGNA: Circa 20 minuti a piedi (1,6 KM)
Fermata BARBERINI: Circa 21 minuti a piedi (1,8 KM)
AUTOBUS:
Da Stazione Termini*:
Autobus 64 fino alla fermata “Corso Vittorio Emanuele – Navona” – Circa 20 minuti
Autobus 70 fino alla fermata “Senato” – circa 20 minuti
Autobus 40 fino alla fermata “Chiesa Nuova” – circa 21 minuti
* I tragitti da altre fermate e gli orari sono disponibili sul sito: http://www.atac.roma.it nella sezione “Linee e Mappe”.
Il Chiostro del Bramante, inoltre, dista meno di 1KM da: Piazza Navona, Pantheon, Palazzo Farnese, Campo de Fiori, Galleria Alberto Sordi e Via del Corso.