Amburgo: un pomeriggio in musica e storia

Arrivati ad Amburgo, in una piovosa giornata di metà Agosto, una prima definizione che siamo riusciti a trovare per descrivere i fasti e i contrasti di questa affascinante metropoli tedesca, è quella di: “una città moderna, ma non nuova”. E sarà nostro compito, in questo breve articolo, guidarvi non solo verso la comprensione di questa nostra personale chiave di lettura, ma anche in un intrigante itinerario pomeridiano che ci ha portati alla scoperta del panorama artistico, storico e culturale di una città che è stata la dimora di una delle più vivaci scene musicali dell’età moderna.

Sopravvissuta nella sua essenza allo scorrere inesorabile e talvolta nefasto del tempo, come le correnti del fiume Elba che ne hanno forse eroso le rive, o i bombardamenti della seconda guerra mondiale che l’hanno avvolta tra le fiamme, ridotta in cenere e macerie, ma mai scalfita al punto da vedere traviata la propria identità di polo commerciale di grande rilevanza e di  capitale di inestimabile valore storico e culturale.

 

Come una fenice, Amburgo è sempre rinata, ma senza mai lasciarsi alle spalle ciò che è stato di lei o che l’ha resa grande nel tempo.  E oggi più che mai lo rivendica con orgoglio, con la stessa tenacia con la quale nei primi anni ’50, la Volkswagen e lo studio DDB di Bernach riuscirono a rompere il muro del pregiudizio verso un progetto tedesco, lanciando l’anacronistico New Beetle nell’agguerrito e nazionalista mercato americano.

Anche in questo caso la Germania si colloca, agli occhi del turista a caccia di storia e cultura, sul podio per quello che concerne la riqualificazione del territorio e la promozione culturale e artistica.

Una città che tanto ammaliò uno dei suoi più illustri cittadini, Johannes Brahms, che perfino durante la sua lunga vita a Vienna  ne rimpiangeva i panorami sugli argini e le passeggiate tra le vie natali. L’anti-Wagner che aveva fatto del gusto classicheggiante della società capitalista borghese della Grunderzeit,  legata al bisogno di valori certificati da un passato illustre, il cardine compositivo delle sue opere che è ben evidente anche come leif-motiv della pluricentenaria vita amburghese.

Ne è un esempio lampante il “KomponistenQuartier”, fedelmente ricostruito dopo la fine della seconda guerra mondiale, ad un centinaio di metri dalla elegante stazione liberty di St.Pauli, tra palazzine in mattoni rossi , travi in legno ed eleganti bovindo tinteggiati di bianco.

Qui, affacciato sulla caratteristica Penterstraße, tra il 1971 e il 2016 ha trovato dimora un nuovo complesso di musei:  il “Brahms Museum” e l’adiacente museo dedicato ad altri compositori di fama mondiale, ognuno di loro legato indissolubilmente alla scena musicale di Amburgo tra il XVIII e il XIX secolo. Come Georg Philipp Telemann, che definì sagacemente Amburgo come: “la città in cui la musica sembra aver trovato la propria patria”; Carl Philipp Emanuel Bach, meglio conosciuto come: “il Bach di Amburgo”; Johan Adolf Hasse, che cominciò la propria carriera presso la Hamburg Opera House di Gansemarkt;  Fanny e Felix Mendelssohn, entrambi nati ad Amburgo e  Gustav Mahler, che si trasferì ad Amburgo nel 1891 per ricoprire la carica di Primo Direttore presso l’Hamburg Stadt Theater.  Le loro storie e il loro genio raccolto in poche sale, tra partiture originali, libretti e strumenti che permettono di ripercorrere in un avvincente itinerario storico, culturale e artistico la vita di Amburgo “in musica”, dal barocco all’età moderna.  Il tutto, in una cornice deliziosamente curata dai numerosi volontari della “Johannes – Brahms – Gesellshaft Internationale Vereiningung e V.”, fondata nel 1969.

       

E ad Amburgo,  per attraversare oltre un secolo di cultura musicale e ritrovarsi lungo gli argini di Baumwall, a pochi metri da una delle più innovative sale concerti al mondo,  possono bastare appena tre minuti di tragitto. Come? Lungo il tratto più scenografico della linea U3, la “linea gialla” della metropolitana,  che tra St.Pauli, Landungsbruken e Baumwall sfocia in una panoramica sopraelevata sugli argini dell’Elba, oltre i quali potrete ammirare l’imponenza del complesso del Blohm+Voss Shiffswerft, orgoglio della cantieristica e della industria navale tedesca, attivo fin dal 1877.

 

Ma stavamo parlando, appunto, dell’Elbphilarmonie. Inaugurato nel 2017, con un investimento complessivo di circa 789 milioni di Euro che ha previsto la trasformazione del Kaiserspeicher -il più grande magazzino portuale di Amburgo,  costruito nel 1875 e inizialmente adibito al deposito di cacao, tabacco e tè- in una struttura avveniristica: un auditorium unico nel suo genere progettato da Pierre de Meuron, Jacques Herzog e Ascan Mergenthaler. La struttura è inserita nella suggestiva cornice del porto di Amburgo, lungo il fiume Elba. Al suo interno: una Grand Hall da 2.100 posti, una recital hall e una sala da 150 posti specificamente progettata per seminari e workshops curati dal programma di educazione musicale: “World of Instruments”. Ma anche un hotel, un ristorante birreria, una terrazza panoramica e quarantacinque lussuosi appartamenti.  Una maestosa struttura in vetro curvato, come un grande cristallo incastonato nella città. Nei suoi  1000 pannelli, non solo sembrano specchiarsi i campanili delle grandi chiese di San Michele e San Pietro, o la vetta in bronzo del grandioso municipio neorinascimentale, ma anche le luci, i colori e i riflessi lungo il torbido corso dell’Elba. Attraverso cui, ancora oggi, navigano lente e solenni grandi navi che con tre fischi lunghi sembrano rendere omaggio a questa, seppur moderna, pietra miliare nel costante processo evolutivo di una grandiosa capitale culturale.

         

Panta Rhei, diceva Eraclito. Non saranno mai le stesse acque a bagnare le rive di Amburgo, ma resterà ancorata tanto alla memoria quanto al progresso,  e non perderà di certo l’occasione di stupirvi.

 

New York: esserne una parte

Sorvolare l’Atlantico e planare sui tre chilometri e ottocento della pista del John Fitzgerald Kennedy, principale scalo aeroportuale dello stato di New York, ha senz’altro sostituito il fascino del transito sotto il Ponte di Verazzano e della hudsonspettacolare navigazione in quel tratto di mare –o di fiume?- stretto tra Governors ed Ellis Island, antico arsenale militare che negli anni della grande emigrazione dal vecchio continente divenne il principale punto di ingresso degli immigrati che sbarcavano negli Stati Uniti. E non sarà neppure il fragore metallico di una passerella del Pier 90 ad accogliervi, ma in una New York che sembra ancorata al suo charme, ai suoi luoghi e alla sua storia che parla ancora di portoni Art-Deco, shopping sulla Fifth Avenue e carrozze lungo il Central Park, la sagoma del “Rex” ritratto da Fellini in Amarcord sembra poter spuntare da un momento all’altro tra la giungla di cemento del Financial District, oltre Battery Park, solcando le severe e scure acque del fiume Hudson.

Perché New York è anche questo, passato e futuro che si incontrano e si amalgamano senza respingersi, in uno straordinario processo di mitosi di culture che convivono in un tratto di terra che si allunga come un lungo braccio di 21,6Km verso l’Europa e che si può vedere e toccare con mano tra i Pub irlandesi a Midtown o assaporare in una tipica pietanza greca all’Estiatorio Milos sulla 55Th St o in una birra e una tagliata di carne alla Peter Luger Steakhouse di Brooklyn.

timessquareNew York è frenetica, viva, caotica ma ancora curiosa di conoscere e di raccontare storie. Le “People of New York”, che ogni giorno attraversano quel guazzabuglio di cunicoli sottostanti lo snodo della metropolitana di Columbus Circle intenti a rientrare nelle loro abitazioni, spesso lontane da Manhattan, dopo una giornata di lavoro e che, nonostante ignorino il fatto che Colombo fosse italiano e nato a Genova –qualcuno potrà dirvi che era portoghese o comunque from somewhere near Spain– accantonano la diffidenza e il pregiudizio pronti a conoscere o a scambiare opinioni , impressioni o semplicemente due consigli su come vivere al meglio una città che non lascia dubbi sul fatto che possa essere così amata –e rispettata- da coloro che ogni giorno contribuiscono –più o meno consciamente- a mantenere viva nella mente di un visitatore quell’immagine della “città che non dorme mai” che già nel 1924 ispirò Gershwin con la sua “Rhapsody in Blue”, notoriamente ispirata alla realtà metropolitana newyorkese, o Francis Scott Fitzgerald e il suo “Great Gatsby”.

 

Esserne una parte, come cantavano Frank Sinatra e Liza Minelli, svegliarsi e lasciarsibryantpark trascinare da quelle scarpe vagabonde tra i marciapiedi della Midtown Manhattan fino a Bryant Park per un caffè americano e uno sguardo fugace al New York Times che riporta i risultati delle primarie USA per lo stato di New York, che hanno visto il trionfo della candidata democratica Hillary Clinton e del repubblicano Donald Trump, proprietario, tra l’altro, di uno dei più noti edifici affacciati sulla Fifth Avenue, ai piedi del celeberrimo Central Park.

Un hot-dog all’ombra dell’Ago di Cleopatra del XV Secolo a.C , donato d13001108_10207395931069523_8256826844017885993_na Isma’Il Pascià allo stato di New York e il cui trasporto fino alla sua attuale location fu interamente finanziato dal mecenate William Henry Vanderbilt nel 1881, o  una visita alla Frick Collection, ex residenza del magnate dell’acciaio Henry Clay Frick, che ospita tra le sue mura capolavori di artisti del calibro di Tiziano e Piero della Francesca. Perdersi nella vastità del MOMA, lasciarsi abbagliare dalle luci di Times Square o seguire dagli occhi di David Bowie in qualche murales nell’East Village affollato da giacche di pelle, lounge, club e comedy bar.

 

Come un enorme palcoscenico, contro qualsiasi indicazione e qualsiasi guida, la bravura di un ottimo performer che decide di mettere in scena una visita a New York, resta ancora l’improvvisazione, la fame, la curiosità e la consapevolezza che neppure la vetta della Freedom Tower è il limite per una città che non sarà mai la stessa, visita dopo visita.

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